Era il 9 Marzo quando abbiamo deciso di fronteggiare il Coronavirus con nuove modalità lavorative. Un anno fa avevamo proposto la “settimana corta” e venne accolta così bene che fu subito realtà. Ma ora il cambiamento è forzato e radicale e per alcuni di noi, addirittura sconosciuto. Vediamo com’è andata tra postazioni di fortuna, bambini da gestire, cani, gatti e il richiamo del frigo.
Smart working e Coronavirus: cos’è cambiato?
Quando abbiamo preso la decisione di lavorare da remoto, abbiamo fatto i conti con due tipi di necessità: quello di evitare rischi per la salute e, nei limiti del possibile, di garantire continuità ai nostri clienti. A distanza di un mese possiamo dire di esserci riusciti, affrontando le difficoltà con buonsenso e la giusta leggerezza. Le riunioni del mattino si sono spostate su Jitsi Meet, i gruppi Skype ci hanno permesso di fare il punto sui vari progetti, il CRM aziendale ci ha tenuto informati sullo stato di avanzamento lavori e i promemoria di Google Calendar ci hanno ricordato “i cosa e i quando”.
Tutto come prima, o quasi
Mancano le persone, e non è poco, ma gli strumenti ci sono tutti e la volontà anche. E allora vediamo, 40 giorni dopo, come stanno le cose.
Ascolteremo le voci di Giada, la nostra Ecommerce manager e Analytics specialist, Daniele, Responsabile marketing e rapporti con i clienti, Francesco, Web developer e Michele, Full stack developer.
Partiamo!
Azienda:
Ciao ragazzi, come va? (silenzio)
Azienda:
Ok, partiamo con una domanda più specifica: come vi trovate con lo smart working?
Giada:
Bene. Mangio sullo stesso tavolo in cui lavoro, con un braccio apro il frigo, con
l’altro muovo il mouse. A parte gli scherzi, per essere la mia prima esperienza di
telelavoro mi sono abituata in fretta e la produttività non ne ha risentito. Inoltre posso
recuperare il tempo che prima perdevo per la preparazione e gli spostamenti.
Daniele:
Ho avuto esperienze di lavoro remoto, ma ora il contesto è più complicato. Divido gli
spazi con la mia compagna (anche lei in smart working) e un bambino di 5 anni per il quale ho
allestito un mini-Disneyland che lo tiene occupato. Gli auricolari mi aiutano ad isolarmi e
anche per me non perdere tempo negli spostamenti significa lavorare del tempo in più.
Francesco:
Nonostante fossi alla prima esperienza con lo smart working mi sono trovato subito bene. Con i
colleghi ci sentiamo spesso e non ho problemi a rispettare le consegne. Nonostante la poca
distanza tra la mia abitazione e l’azienda, quel tragitto mi consentiva di tenere separati vita e
lavoro, cosa che adesso mi risulta più complicato.
Michele:
Il mio rapporto con lo smart working è ben rodato, avendo lavorato in questa modalità per
lungo tempo. Ne conoscevo già pregi e difetti e anche per me il fatto di evitare spostamenti si è
rivelato un buon incentivo per ottimizzare i tempi di lavoro.
Azienda:
Avevate già una postazione in cui poter lavorare in tranquillità?
Giada:
Diciamo di si: il tavolo su cui lavoro è lo stesso su cui mangio e ciò mi permette di non accusare
cali di zucchero o i morsi della fame.
Daniele:
Diciamo che me la sono creata, rivedendo la disposizione dei vari elementi in casa secondo le
mie necessità (con gravi rischi per i rapporti familiari)
Francesco:
Nella mia camera sono il Re, ed è lì che lavoro. In verità era già tutto pronto: monitor da 27”,
scrivania bella grande, cuffie, una sedia comoda e silenzio. Tanto silenzio. Troppo silenzio.
Michele:
La mia postazione casalinga era già ben allestita e funzionante. Ho tutto ciò che mi serve
compreso il silenzio, risorsa fondamentale ma che inizia un po’ a pesare.
Azienda:
Cosa vi manca (se vi manca) del lavoro in azienda?
Giada:
Il caffè del mattino tutti insieme era un appuntamento sacro, un momento di condivisione e
leggerezza che è impossibile replicare. Lì iniziava la giornata e da quella stanza i problemi
restavano fuori.
Daniele:
Il caffè del mattino, l’ufficio modello Copacabana e quel non sentirsi soli nel cercare l’ispirazione
guardando fuori dalla finestra. Comunque il caffè del mattino batte tutto.
Francesco:
La possibilità di alleggerire tensioni e stress divagando o ridendoci su. Ma tutto questo solo
perché non bevo caffè.
Michele:
Il caffè lo hanno già detto? Scherzi a parte sono le persone, la squadra, il collettivo che mi
manca.
Azienda:
Quando sareste disposti a tornare in ufficio?
Giada:
Adesso? Facciamo adesso?
Daniele:
Ieri, oggi… domani?
Francesco:
Io abito qui vicino, vengo subito?
Michele:
Che ne dite se compilo l’autocertificazione e arrivo?
Conclusioni
Christian – Ernesto:
La cosa più evidente dalla nostra esperienza è che ciò che più pesa è la mancanza di contatto umano. Siamo fortunati, possiamo comunque lavorare e senza tanti impedimenti, ma un team si costruisce con le persone,
con il contatto, con la condivisione degli spazi, delle riflessioni.
Si diventa un pò come una famiglia e la famiglia va protetta e per noi è stato molto più importante essere veloci nella decisione di attivare lo smart-working, che la decisione in sè: non sapevamo se avrebbe funzionato, ma sapevamo che era la cosa giusta.
Per concludere, il lavoro agile funziona e funziona bene, ma non per la pausa caffè: per questo serve un tavolo, 6 tazzine, una moka e un pò di spensieratezza.
L’approccio agile al lavoro, introdotto con successo lo scorso anno, ci ha permesso di gestire questa difficile emergenza con un buon controllo e senza grandi scossoni. Utilizzavamo già diversi servizi di team building e supporto remoto nelle procedure aziendali e ne abbiamo apprezzato i vantaggi sia noi che i nostri clienti. Ne usciremo con un team ancor più “smart” e una certezza: i ragazzi non vedono l’ora di tornare.
Ma che non manchi il caffè…
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